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In caso di applicazione della sanzione su richiesta delle parti ex art. 63 D.lgs. 231/2001 l´accordo sul trattamento sanzionatorio deve comprendere anche l´an e il quantum della confisca, trattandosi di una sanzione principale per l´ente

Marco Pauletti

In caso di definizione del giudizio mediante sentenza di applicazione delle sanzioni su richiesta delle parti, le parti devono includere nell'accordo non solo la sanzione pecuniaria e, se prevista, quella interdittiva, ma anche la determinazione e la quantificazione della confisca. Questo, in quanto la confisca ha natura di pena principale nel processo a carico dell’ente e, dunque, deve essere ricompresa nell’accordo tra difesa e accusa in caso di applicazione della sanzione su richiesta delle parti, non potendola disporre d’ufficio il Giudice.

Questo è il principio di diritto - e la relativa motivazione – con cui la Corte di Cassazione (sentenza Sez. VI, 25 luglio 2024, n. 30604) ha accolto il ricorso di una società, che aveva concordato unicamente la sanzione pecuniaria per l’illecito amministrativo dipendente dal reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche (art. 316-ter c.p.).

Nel caso in esame, nei confronti della società ricorrente era stata emessa sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti per l’illecito amministrativo previsto dall'art. 24 del D.lgs. 231/2001, in relazione al reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche di cui all'art. 316-ter c.p., commesso dal legale rappresentante. Quest'ultimo, infatti, aveva ottenuto un finanziamento di 30.000 euro tramite il Fondo di garanzia per le Piccole e Medie Imprese, destinato a garantire liquidità per il pagamento di fornitori e dipendenti, secondo quanto previsto dalla normativa emergenziale introdotta dal D.L. n. 23/2020. Tuttavia, invece, di utilizzare il prestito per le finalità previste, aveva impiegato la somma per l'acquisto di un immobile.

Va precisato che il rito alternativo del cd. “patteggiamento” per le persone giuridiche è disciplinato espressamente dall’art. 63 D.Lgs. 231/2001, il quale prevede che “l'applicazione all'ente della sanzione su richiesta è ammessa se il giudizio nei confronti dell'imputato è definito ovvero definibile a norma dell'art. 444 del c.p.p. nonché in tutti i casi in cui per l'illecito amministrativo è prevista la sola sanzione pecuniaria. Si osservano le disposizioni di cui al titolo II del libro sesto del c.p.p., in quanto applicabili. Nei casi in cui è applicabile la sanzione su richiesta, la riduzione di cui all'art. 444, comma 1, c.p.p. è operata sulla durata della sanzione interdittiva e sull'ammontare della sanzione pecuniaria. Il giudice, se ritiene che debba essere applicata una sanzione interdittiva in via definitiva, rigetta la richiesta”.

Dunque, il Giudice dell’udienza preliminare, nel caso di specie, aveva accolto l'accordo tra le parti riguardo alla pena, ma aveva altresì disposto la confisca del profitto del reato ai sensi dell'art. 19 del D.lgs. n. 231/2001, quantificandolo in 30.000 euro, corrispondenti all'importo del finanziamento indebitamente percepito. Tale norma impone sempre, nei confronti dell'ente, con la sentenza di condanna, la confisca del prezzo o del profitto del reato.

La società ha presentato ricorso deducendo, fra i vari motivi, l’errata quantificazione del profitto dell’illecito, ritenuto dal Giudice pari all’ammontare del finanziamento, omettendo di considerare che tale importo costituirebbe un debito per il beneficiario e, pertanto, non potrebbe essere ritenuto un profitto. Inoltre, la confisca determinerebbe una duplicazione di pagamento, posto che da un lato la società verrebbe privata dell’importo finanziato e, al contempo, permarrebbe l’obbligo di restituzione della cifra.

Il ricorso presentato dalla società ha offerto ai giudici della Suprema Corte l’occasione di affrontare una questione discussa in dottrina e trattata in rare occasioni dalla giurisprudenza: occorre comprendere se, nel processo de societate, la confisca del profitto dell’illecito rientri nell’accordo delle parti sul trattamento sanzionatorio da irrogare all’ente. La Corte territoriale, dunque, stando alla difesa, avrebbe dovuto considerare la somma in questione rappresentativa di un debito e non di un illecito arricchimento.

 

La Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi sul ricorso, ha esordito affermando che la confisca ha natura di sanzione principale a carico degli enti. Inoltre, si è ritenuto che la decisione dipendesse da una questione preliminare e assorbente: la corretta qualificazione giuridica della confisca nell'ambito del procedimento a carico degli enti ai sensi del D.Lgs. n. 231/2001.

Secondo il Collegio, la confisca prevista nel procedimento a carico degli enti si differenzia significativamente da quella prevista dal codice penale, poiché la prima è considerata una sanzione "principale, obbligatoria e autonoma" e non una semplice misura di sicurezza patrimoniale (come nel caso delle persone fisiche). Proprio l'espressa qualificazione normativa della confisca prevista dagli artt. 9 e 19 del D.Lgs. n. 231/2001 quale sanzione principale, impone di estendere ad essa l'accordo sulla sanzione previsto dall’art. 63 D.lgs. n. 231/2001, non ravvisandosi ragioni di ordine giuridico per escludere la sola confisca dall'accordo tra le parti.

In particolare, come chiarito dalla Suprema Corte, è importante non confondere l’aspetto relativo alla obbligatorietà della confisca, con la possibilità di negoziarne l'entità: sebbene tutte le sanzioni principali siano obbligatorie per loro natura, ciò non preclude di determinarne l'entità attraverso un accordo tra imputato e pubblico ministero, che resta comunque soggetto alla verifica del giudice. Lo stesso ragionamento, mutatis mutandis, non può che valere anche per la confisca prevista dal D.Lgs. 231/2001 nel caso in cui l’ente decida di ricorrere al patteggiamento.

Secondo la Corte di Cassazione, infatti, la confisca deve necessariamente essere inclusa nell'accordo tra le parti, sia per quanto riguarda la decisione di procedere con essa sia per la sua quantificazione. Diversamente, l'accordo risulterebbe incompleto, esponendo l'ente a una confisca particolarmente afflittiva su cui non ha avuto alcuna possibilità di interlocuzione. È chiaro, tuttavia, che, data la natura obbligatoria di tale tipologia di confisca, le parti possono concordarne l'esclusione solo nei casi in cui si ritenga che l'illecito non abbia generato alcun profitto per l'ente. Diversamente, la determinazione dell'importo del profitto da confiscare deve sempre essere inclusa nell'accordo, sia nel caso di confisca diretta che per equivalente.

Una volta raggiunto l'accordo, spetterà al giudice verificare non solo l'adeguatezza delle sanzioni pecuniarie ed interdittive, ma anche la corrispondenza della confisca concordata al profitto dell'illecito effettivamente conseguito. Qualora, invece, il giudice ritenga non corretto l'accordo in ordine alla confisca, deve rigettare in toto la richiesta di patteggiamento.

Peraltro, come è stato da tempo stabilito della Sezioni Unite della Corte di Cassazione (Cass. Pen., Sez. U., 24/4/2014, n. 38343), “il profitto confiscabile è costituito esclusivamente dal vantaggio economico di diretta e immediata derivazione causale dal reato, con esclusione di ogni utilità indiretta, e deve essere concretamente determinato al netto delle utilità eventualmente conseguita dal danneggiato, nell’ambito del rapporto sinallagmatico con l’ente”.

Alla luce di queste considerazioni, la Suprema Corte ha concluso che nel caso di definizione del giudizio con l’applicazione della pena, le parti dovranno ricomprendere nell’accordo non solo la sanzione pecuniaria e, se prevista, quella interdittiva, in relazione alle quali dovrà applicarsi la riduzione premiale per il rito, ma anche la determinazione, nell’an e nel quantum, della confisca, trattandosi di sanzione principale, in relazione alla quale non è prevista alcuna espressa esclusione dall’accordo sulla base dell’art. 63 D. Lgs. 231/2001.

Una volta raggiunto l’accordo, spetterà al giudice verificare non solo l’adeguatezza delle sanzioni pecuniarie e interdittive, ma anche la corrispondenza della confisca concordata al profitto dell’illecito effettivamente conseguito, al netto delle eventuali restituzioni in favore del danneggiato, come previsto dall’art. 19, comma 1, D. Lgs. 231/2001: qualora il giudice ritenga non corretto l’accordo in ordine alla confisca, dovrà rigettare la richiesta di patteggiamento così come formulata nel suo complesso.

La sentenza in esame assume particolare rilevanza poiché si discosta dall'orientamento prevalente, per cui la confisca nei confronti degli enti sarebbe una conseguenza inevitabile della sentenza di patteggiamento, la cui determinazione è sottratta alla disponibilità delle parti e riservata esclusivamente al giudice. Con questa pronuncia si afferma, invece, che la confisca può essere considerata a tutti gli effetti una componente negoziabile nell'ambito dell'accordo tra le parti e, pertanto, questa dovrà essere oggetto di una valutazione più attenta in tutti quei casi in cui l'ente scelga di valutare l’opportunità di definire la propria posizione con un patteggiamento.

E’ condivisibile la scelta della Cassazione, in quanto coerente con la struttura normativa del patteggiamento - quale istituto che per sua natura implica un dialogo tra le parti avente oggetto il trattamento sanzionatorio complessivamente considerato - e con la natura giuridica della confisca quale sanzione principale a carico dell’ente. In questo modo si giungerebbe ad un equilibrio ragionevole tra le esigenze punitive dell’accusa ed il diritto di partecipare alla determinazione del trattamento sanzionatorio dell’ente che decide di accedere al patteggiamento.

Argomento: Responsabilità ente da reato (d.lgs. n. 231/2001)
Sezione:

(Cass. Pen., Sez. VI, 25 luglio 2024, n. 30604)

Stralcio a cura di Francesco Martin

“(…) nel caso di definizione del giudizio con l'applicazione della pena, le parti dovranno ricomprendere nell'accordo non solo la sanzione pecuniaria e, se prevista, quella interdittiva, in relazione alle quali dovrà anche applicarsi la riduzione premiale per il rito, ma anche la determinazione, nell'an e nel quantum, della confisca, trattandosi di sanzione principale, in relazione alla quale non è prevista alcuna espressa esclusione dall'accordo sulla base dell'art. 63 D.Lgs. n. 231 del 2001. Una volta raggiunto l'accordo, spetterà al giudice verificare non solo l'adeguatezza delle sanzioni pecuniarie e interdittive, ma anche la corrispondenza della confisca concordata al profitto dell'illecito effettivamente conseguito, al netto delle eventuali restituzioni in favore del danneggiato, come previsto dall'art. 19, comma 1, D.Lgs. n. 231 del 2001. Qualora il giudice ritenga non corretto l'accordo in ordine alla confisca, dovrà rigettare in toto la richiesta di patteggiamento (in senso analogo, con riferimento al patteggiamento ordinario, si veda Sez. U, n. 21368 del 26/9/2019, dep. 2020, Savin, R. 279348-02). In conclusione, si ritiene che la specificità del sistema punitivo dettato dal D.Lgs. 231 del 2001, nonché l'espressa qualificazione della confisca quale sanzione principale e la necessità di favorire il ricorso a riti deflattivi, consentono di affermare che, in caso di patteggiamento, l'accordo deve riguardare tutte le sanzioni conseguenti all'illecito, in tal modo evitando che l'ente - dopo aver concordato le sanzioni pecuniarie e interdittive -si veda esposto all'applicazione di una confisca avente connotati particolarmente afflittivi e in relazione alla quale non ha avuto alcuna possibilità concreta di interlocuzione. A quanto detto deve aggiungersi che il patteggiamento, per le finalità dell'istituto e per come strutturato nella previsione di cui all'art. 63 cit., deve essere idoneo a coprire l'intero trattamento sanzionatorio, non essendo consentita un'applicazione parziale e limitata solo ad alcune delle sanzioni principali previste per l'ente. Alla luce di tali considerazioni, si ritiene che, nel caso in esame, l'accordo sulla pena, concluso senza la determinazione - nell'art e nel quantum - della confisca del profitto dell'illecito commesso dall'ente, non poteva essere recepito dal giudice mediante l'unilaterale determinazione della confisca”.

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