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Quando il legale rappresentante sia indagato o imputato insieme all´ente non può nominare il difensore di fiducia di quest´ultimo in quanto vige una presunzione assoluta di incompatibilità

Marco Pauletti

Il rappresentante legale indagato o imputato del reato presupposto non può provvedere, a causa di una evidente condizione di incompatibilità, alla nomina del difensore dell’ente, per il generale e assoluto divieto di rappresentanza posto dall’art. 39 del d.lgs. n. 231/2001. Tuttavia, per evitare una tale situazione, la società ha la facoltà di inserire nel Modello organizzativo una procedura per nominare il difensore di fiducia senza versare in conflitto d’interessi.

E’ questo il principio ribadito dalla III Sezione della Corte di cassazione con la sentenza n. 38890 del 2024, già in precedenza affermato per la prima volta dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la nota sentenza n. 33041 del 28 maggio 2015 (“Gabrielloni”)

L’interessante caso, riguardava la decisione adottata nel giugno del 2024 dal Tribunale del riesame di Salerno, il quale ha dichiarato inammissibile un riesame proposto da una società a responsabilità limitata contro un sequestro preventivo disposto dal GIP del Tribunale di Nocera Inferiore.

Di fronte a questa decisione, il rappresentante legale della s.r.l. ha presentato ricorso per cassazione, attraverso il proprio difensore, deducendo, fra i vari motivi, la nullità del sequestro preventivo per una evidente violazione del diritto di difesa, in quanto effettuato senza provvedere alla nomina (quantomeno) di un difensore d’ufficio per la società che ne era privo e senza procedere alla notifica dell’informativa di garanzia.

La difesa, dunque, lamentava uno dei più ricorrenti motivi di ricorso promossi nei confronti di una società indagata o imputata ai sensi del D.Lgs. 231/2001, relativi alla nomina del difensore di fiducia. Stando all’art. 39 del Decreto la società, qualora intenda partecipare al procedimento, deve costituirsi depositando presso la cancelleria dell’autorità giudiziaria procedente una dichiarazione contenente, a pena di inammissibilità: a) la denominazione dell’ente e le generalità del suo legale rappresentante; b) il nome ed il cognome del difensore e l’indicazione della procura; c) la sottoscrizione del difensore;

  1. d) la dichiarazione o l’elezione di domicilio.

Può accedere, molto spesso, che ad adempiere tale obbligo sia lo stesso legale rappresentante della società, che verserebbe in un chiaro e palese conflitto d’interessi.

Il ricorso in questione è stato dichiarato inammissibile dalla Corte di cassazione per una serie di fondamentali ragioni.

La prima riguarda la mancata costituzione in giudizio dell’ente. Il Collegio, infatti, ha chiarito che, per partecipare attivamente al procedimento ed esercitare i propri diritti difensivi, (tra cui anche quello di promuovere impugnative innanzi al Tribunale del Riesame) l’ente deve costituirsi formalmente in giudizio, secondo quanto disposto dall’articolo 39 del d.lgs. n. 231/2001. La norma, operante fin dalla fase delle indagini preliminari, stabilisce le modalità con cui la società può validamente prendere parte al procedimento, evitando il conflitto di interessi con il suo legale rappresentante.

Ebbene, stando alla Suprema Corte, nel caso di specie, il fatto che di tale costituzione non vi fosse alcuna traccia, rappresentava un elemento già di per sé sufficiente per una pronuncia di inammissibilità per difetto di legittimazione processuale.

La seconda ragione che ha portato la Corte ha pronunciarsi per l’inammissibilità è collegata all’incompatibilità del rappresentante legale nel nominare il difensore dell’ente.

La Corte, infatti, ha ribadito un principio, già affermato nella citata sentenza “Gabrielloni”: il rappresentante legale della società a cui si contesta un illecito previsto dal catalogo 231, qualora risulti imputato del reato presupposto da cui dipende l’illecito amministrativo, non può provvedere alla nomina del difensore dell’ente. Inoltre, tutti gli atti da questo posti in essere nell’ambito del procedimento penale sono da considerarsi inefficaci, per il generale e assoluto divieto di rappresentanza posto dall’art. 39 del d.lgs. n. 231/2001.

Tale situazione di assoluta incompatibilità - come stabilito da un consolidato orientamento giurisprudenziale (cfr., ex multis, Sez. 2, n. 13003 del 31/01/2024) - è presunta "iuris et de iure" e scatta automaticamente in presenza della situazione contemplata dalla norma, senza necessità di ulteriori accertamenti. Il motivo è chiaro: nel momento in cui società e relativo rappresentante vengono indagati, le loro strategie processuali debbono necessariamente prendere due distinte strade.

Nonostante ciò, nel caso specifico, il rappresentante legale della società, imputato del reato presupposto, pur trovandosi in tale situazione di conflitto di interessi, aveva comunque provveduto a nominare il difensore dell’ente, rendendo automaticamente inammissibile il ricorso.

La Corte ha avuto modo di precisare che la nomina del difensore d’ufficio per l’ente, prevista dall’articolo 40 del d.lgs. 231/2001 (in modo simile a quanto stabilito dall’articolo 96, comma 3, del codice di procedura penale per l’indagato), non è obbligatoria in fase di esecuzione del sequestro preventivo. Infatti, stando all’art. 364 del codice di procedura penale, la nomina d’ufficio è necessaria solo per atti quali l’interrogatorio, l’ispezione, l’identificazione di una persona o il confronto, in cui è richiesta la presenza dell’indagato. Rispondendo ad una delle censure difensive, la Corte ha affermato che, ove la persona sottoposta ad indagine non partecipi alle operazioni, la nomina di un difensore d’ufficio non risulta necessaria, facendo così venire meno anche l’obbligo di inoltro dell’informazione di garanzia. Alla luce di queste motivazioni, dunque, la Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato dalla società.

 

La pronuncia in commento ha nuovamente sollevato una questione cruciale: come può una società validamente costituirsi in giudizio ed esercitare i propri diritti di difesa quando il suo rappresentante legale è indagato o imputato del reato presupposto da cui deriva l’illecito amministrativo?

A fronte di un indirizzo giurisprudenziale pressoché univoco, in tali circostanze, l’ente avrebbe due possibili soluzioni a disposizione.

La prima, certamente più complessa, consiste in una riorganizzazione del vertice aziendale attraverso la nomina di un nuovo rappresentante legale, evitando in questo modo la divergenza di interessi e potendo così legittimamente nominare il difensore della società.

La seconda società, maggiormente pratico e di più immediata applicazione, prevede la designazione di un rappresentante legale ad litem, ovvero un rappresentante provvisorio incaricato solo per quello specifico procedimento. Tale figura, diversa dal rappresentante indagato o imputato del reato presupposto, consente all’ente di costituirsi in giudizio e di esercitare i propri diritti di difesa, compresa la nomina di un difensore.

Come anticipato, l’indirizzo della Cassazione sul punto è sempre stato costante sin dalla sentenza “Gabrielloni”. Eppure, negli ultimi arresti giurisprudenziali, si è potuto assistere ad un innovativo cambiamento. Infatti, come correttamente affermato dalla Suprema Corte nella sentenza Sez. 2, n. 13003 del 31/01/2024, è fondamentale che gli enti adottino Modelli di organizzazione, gestione e controllo che prevedano, all’interno della Parte Generale, delle regole chiare anche sotto questo punto di vista. La citata sentenza non si è limitata ad affermare il noto principio, ma ha suggerito che, al fine di prevenire potenziali conflitti di interesse, legati alla figura del rappresentante legale coinvolto nel reato presupposto, i Modelli 231 devono includere la possibilità di nominare un difensore attraverso una persona specificamente delegata, diversa dal rappresentante sotto indagine, al fine di garantire una difesa efficace e imparziale degli interessi dell’ente.

Per fare ciò, appare opportuno inserire una procedura ad hoc per la nomina del difensore di fiducia dell’ente in caso di contestazione di un illecito amministrativo derivante da un reato presupposto. In tale situazione il rappresentante legale autore del reato presupposto, dovendo da un lato agire in conto proprio, dall'altro rappresentare in giudizio la società, potrebbe risolvere il conflitto d'interessi attribuendo la nomina del difensore dell’ente attribuendo il potere (in casi d'urgenza) al Presidente del Consiglio di Amministrazione, con potere di ratifica da parte dell'assemblea dei soci, da convocarsi secondo le norme dello Statuto societario.

In questo modo, il Modello sarebbe in grado di indicare preventivamente come difendersi in giudizio in caso di contestazione e come risolvere alla radice l‘inevitabile conflitto di interessi.

Non solo: in questo modo, soprattutto nelle società di grandi dimensioni, si darebbe tale facoltà all’assemblea dei soci, garantendo il più possibile una scelta fiduciaria a tutela dei loro interessi.

La soluzione offerta si propone di evitare ab origine, come avvenuto nel caso oggetto della sentenza in commento, una situazione di impasse alla quale sarebbe difficile rimediare nella fase patologica. Per ovviare ad ogni tipo di contrasto fra la voluntas societatis e quella del suo rappresentante legale, un’azienda virtuosa ha la facoltà di aggiornare il proprio Modello 231 indicando le modalità di nomina del difensore di fiducia.

Argomento: Responsabilità ente da reato (d.lgs. n. 231/2001)
Sezione:

(Cass. Pen., Sez. III, 23 ottobre 2024, n. 38890)

Stralcio a cura di Francesco Martin

“(…) Questa Corte ha poi precisato che l'onere di formale costituzione ai sensi dell'art. 39D.Lgs. n. 231/2001, previsto come condizione per la partecipazione attiva dell'ente al procedimento che lo riguarda, opera sin dalla fase delle indagini preliminari (Sez. U. Gabrielloni, citata; Sez. 3, n. 8498 del 05/11/2020, dep. 2021, Staffetti Srl, n.m; Sez. 3, n. 9758 del 03/02/2022, F.D. Trasporti Srl, n.m.). Costituzione di cui, nel caso oggetto del presente scrutinio, non si rinviene traccia, elemento già di per sé sufficiente per una pronuncia di inammissibilità per difetto di (prova della) legittimazione processuale. Inoltre, la succitata pronuncia delle Sezioni Unite Gabrielloni ha chiarito che il rappresentante legale indagato o imputato del reato presupposto non può provvedere, a causa di una evidente condizione di incompatibilità, alla nomina del difensore dell'ente, per il generale e assoluto divieto di rappresentanza posto dall'art. 39 del D.Lgs. n. 231 del 2001. A tale pronuncia hanno fatto seguito numerose sentenze (Sez. 3, Sentenza n. 10440 del 17/10/2019, dep. 23/03/2020, Sicilfert Srl, non massimata; Sez. 3, n. 56427 del 18/05/2017, Automobili d'antona Srl, n.m.; Sez. 5, n. 50102 del 22/09/2015, Rv. 265587 - resa in una fattispecie analoga a quella per la quale qui si procede) le quali hanno ribadito che il richiamato art. 39, comma 1, prevede l'incompatibilità del legale rappresentante dell'ente a rappresentarlo nel procedimento a suo carico qualora egli sia contestualmente anche imputato per il reato presupposto della responsabilità addebitata alla persona giuridica. Inoltre, la Corte ha affermato (Sez. 2, n. 13003 del 31/01/2024, Dell'Erba, Rv. 286095-01; Sez. 2, n. 52470 del 19/10/2018, dep. 21/11/2018, s.l.r. Martinelli, non massimata) che quando il legale rappresentante della società imputato di un illecito 231 è a sua volta indagato o imputato del reato presupposto, l'"l'esistenza del "conflitto" è presunta iuris et de iure e la sua sussistenza non deve essere accertata in concreto, con l'ulteriore conseguenza che il divieto scatta in presenza della situazione contemplata dalla norma, cioè quando il rappresentante legale risulta essere imputato del reato da cui dipende l'illecito amministrativo, sicché il giudice deve solo accertare che ricorra tale presupposto". Conseguentemente "il giudice investito dell'atto propulsivo della difesa [continua ..]

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