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Anche nei post su Twitter va rispettato il principio di continenza

Letizia Barbero 

La pronuncia in commento trae origine dal ricorso proposto da un Ente nanti il Tribunale di Roma avverso un ex Senatore al fine di ottenerne la condanna al risarcimento dei danni da diffamazione derivanti, secondo l’assunto di parte ricorrente, da una campagna denigratoria posta in essere dalla parte convenuta attraverso comunicati stampa, nonché messaggi di natura offensiva e denigratoria dell’onorabilità ed immagine dell’Ente pubblicati sul social networkTwitter”.  

Il Tribunale di Roma, valutata la natura diffamatoria di alcune delle dichiarazioni oggetto di ricorso, ha pronunciato sentenza di condanna al risarcimento dei danni, confermata anche in secondo grado dalla Corte d’appello di Roma adita da parte convenuta lamentando la mancata attribuzione da parte del Giudice di primo grado di valore scriminante alla propria condotta.  

Avverso tale pronuncia di conferma della pretesa risarcitoria, l’ex Senatore ha proposto ricorso per cassazione fondato su quattro motivi di doglianza. 

Con il primo motivo il ricorrente lamenta che le dichiarazioni dallo stesso pubblicate dovevano essere valutate alla luce del contesto nel quale le stesso erano state rilasciate, ovvero una piattaforma online (“Twitter”), finanche da trattarle come libera espressione di un pensiero critico rivolto genericamente all’attività istituzionale dell’Ente. Con il secondo motivo, parte ricorrente denuncia l’omessa valutazione della Corte d’Appello dell’ambito nel quale le dichiarazioni sono state rese, trattandosi di espressioni atte a sostanziare una critica di natura politica legittimata dalla carica ricoperta dal ricorrente, quale ex Senatore, nonché dalle funzioni che lo stesso era chiamato a svolgere. Con il terzo motivo, l’ex Senatore adduce, relativamente ad un ulteriore dichiarazione dallo stesso pubblicata sulla piattaforma in questione, l’assenza di elementi nella stessa atti ad integrare un illecito risarcibile a favore dell’Ente ricorrente, in quanto esclusivamente rivolta ad una persona fisica e non contenente espressioni riferibili all’Ente medesimo; con il quarto ed ultimo motivo, lamenta che la liquidazione del danno è avvenuta in assenza della relativa prova, non offerta in giudizio dall’Ente.    

L’ordinanza in commento ha rigettato il ricorso ritenendo non fondati i quattro motivi di doglianza sopra portati. 

In via preliminare, la Corte individua i limiti del controllo di legittimità in tema di danni derivanti da diffamazione, ribadendo che “la ricostruzione storica dei fatti, la valutazione del  contenuto degli scritti, l’apprezzamento in concreto delle espressioni usate come lesive dell’altrui reputazione e la valutazione dell’esistenza o meno dell’esimente dell’esercizio dei diritti (di cronaca e) di critica costituiscono oggetto di accertamenti in fatto, riservati al giudice di merito e insindacabili in sede di legittimità se sorretti da argomentata motivazione”. Il controllo affidato alla Corte concerne, infatti, oltre il sindacato circa la congruità e logicità della motivazione, la verifica del corretto ed avvenuto esame da parte del giudice di merito circa la sussistenza dei seguenti limiti: continenza, veridicità ed interesse pubblico alla diffusione della notizia.  

In merito, gli Ermellini evidenziano innanzitutto l’assenza di alcuna eccezione circa l’omesso esame dei fatti da parte del giudice di merito, o la non congruità dello stesso, nonché, in ogni caso, dichiarano la decisione insindacabile sotto l’aspetto motivazionale, essendo quest’ultima esaustiva e sorretta da una doppia valutazione operata sia in primo grado sia in secondo. In ultimo sull’argomento, rammentano che “resta sempre estraneo al giudizio di legittimità l’accertamento della capacità diffamatoria delle espressioni in contestazione”.  

Operate le dovute premesse, l’esame dell’Ordinanza in commento richiede una breve disamina circa il rapporto intercorrente tra il diritto di critica e la diffamazione.  

Concorde giurisprudenza afferma che affinché si configuri il reato di cui all’articolo 595 del codice penale occorrono i seguenti elementi: assenza dell’offeso, comunicazione con due o più persone ed offesa all’altrui reputazione; quanto sopra, salvo che il comportamento formalmente idoneo ad integrare la fattispecie della diffamazione non sia posto in essere nell’esercizio del diritto di cronaca o critica. L’esercizio di tali diritti, infatti, quali espressione della libertà di manifestazione del pensiero − quest’ultima costituzionalmente garantita dall’articolo 21 della Costituzione −, rientrano nell’ambito della scriminante di cui all’articolo 51 c.p. Orbene, l’esercizio del diritto di cronaca o critica assume valore scriminante di una condotta di rilevanza penale a condizione che siano rispettati i limiti della verità del fatto, della pertinenza nonché continenza, il cui rispetto garantisce un bilanciamento fra l’esercizio dei predetti diritti e le esigenze di tutela dell’onore.  

Per quanto attiene al caso di specie, l’operatività della scriminante del diritto di critica, − il quale si caratterizza necessariamente in un giudizio avente carattere soggettivo rispetto ai fatti −, è subordinata al rispetto dei limiti anzidetti fra i quali, in particolare, la continenza non solo sostanziale (appunto, la verità dei fatti), ma anche formale, intesa quale utilizzo di modalità di esposizione dei fatti ammissibili, nonché formalmente corrette; il rango costituzionale del diritto di critica, infatti, in quanto espressione della libertà di manifestazione del proprio pensiero, non legittima un esercizio privo di alcun limite, bensì ancorato al rispetto dei criteri di bilanciamento sopra menzionati, fra i quali altresì il perseguimento di un interesse meritevole di tutela da parte dell'ordinamento nel rispetto del criterio cd. “finalistico”. In merito, la Cassazione, nell’ambito della pronunci in esame rileva che “il legittimo esercizio del diritto di critica - anche in ambito latamente politico - sebbene consenta il ricorso a toni aspri e di disapprovazione più pungenti e incisivi rispetto a quelli comunemente adoperati nei rapporti tra privati, è pur sempre condizionato dal limite della continenza intesa come correttezza formale dell’esposizione e non eccedenza dai limiti di quanto strettamente necessario per il pubblico interesse”.  

Gli Ermellini, nell’esaminare congiuntamente i primi due motivi di doglianza, evidenziano che non assume rilievo alcuno il fatto che il diritto di critica sia stato esercitato, secondo l’assunto di parte ricorrente, nell’ambito dell’attività politica dello stesso non potendo quest’ultima costituire, alla luce delle circostanze di specie,  fondamento giustificativo della condotta posta in essere; sul punto, si osserva come nell’ambito dell’esercizio del diritto di critica politica il rispetto del limite della verità dei fatti assuma un rilievo più limitato ed affievolito rispetto al diritto di cronaca, ma l’elaborazione critica non può esimersi in ogni caso dal rispetto dei limiti della continenza e della verità.  

Del pari, è irrilevante per i giudici della Cassazione la circostanza che le dichiarazioni di parte ricorrente siano state rese tramite un social network, il quale, − rileva il ricorrente – imporrebbe valutazioni meno rigorose circa la sussistenza dei limiti che circondano l’esercizio del diritto di critica.  

In merito, gli Ermellini nella pronuncia in commento, enucleano il seguente principio: “anche e proprio all’uso di una piattaforma come Twitter, o altre equivalenti, va correlato il limite intrinseco del giudizio che si post in condivisione, il quale, come ogni giudizio, non può andar disgiunto dal contenuto che lo contraddistingue e dalla forma espressiva, soprattutto perché tradotto in breve messaggio di testo, per sua natura assertivo o scarsamente motivato.” A sostegno, la Cassazione rammenta che la formulazione di un giudizio non può, in ogni caso, esaurirsi in un’aggressione gratuita dell’onore e della reputazione del soggetto interessato; tanto più l’utilizzo di una piattaforma online, quale nel caso di specie l’uso di “Twitter”, non esime l’utilizzatore dal necessario rispetto della continenza espressiva, ciò proprio in considerazione dall’assertività che caratterizza la dichiarazione postata su un social network e la quasi totale assenza di motivazione della stessa. I toni, pur se aspri e forti, devono essere proporzionati al fatto oggetto di narrazione ed al concetto che si intende esprimere.  

Medesimi principi sono applicabili finanche alla satira, il cui esercizio rimane subordinato al rispetto dei limiti della verità, della continenza e funzionalità delle espressioni rispetto allo scopo perseguito.  

Neppure l’eventualità che un social network possa operare al fine di destinare solo a determinati soggetti messaggi, commenti o dichiarazioni ivi pubblicati può rappresentare una circostanza esimente, in quanto proprio per natura gli stessi sono da considerarsi “pubblici”, e comunque destinate ad un numero indiscriminati di persone.  

Dunque, gli Ermellini affermano il seguente principio: “il post in Twitter non esime l’autore dal necessario rispetto della continenza espressiva in quanto non può concretizzare una manifestazione del pensiero irresponsabile sol perché veicolata tramite il mezzo prescelto.” 

In relazione al terzo motivo, la Corte non condivide l’assunto di parte ricorrente in quanto l’ulteriore dichiarazione da quest’ultima pubblicata integra anch’essa una condotta lesiva dell’onore dell’Ente poiché rivolta ad un soggetto individuato non in quanto tale, ma in quanto presidente dell’Ente anzidetto; in ultimo, con il quarto motivo la Corte rileva l’infondatezza dello stesso poiché generico alla luce degli elementi valutati dalla corte di Appello che ha, contrariamente a quanto affermato da parte ricorrente, ben esposto le ragioni della conferma della decisioni di primo grado la quale, in tema di liquidazione del danno, ha tenuto conto delle peculiarità del caso di specie al fine di quantificare in via equitativa il risarcimento oggetto di causa.  

Si osserva, infine, che il bene tutelato dal reato di diffamazione rappresenta pur sempre la dignità e la reputazione altrui, non venendo meno l’antigiuridicità della condotta allorquando l’offesa avviene mediante pubblicazione di messaggi di natura comunque diffamatoria sui social network; contrariamente, la Giurisprudenza è costante nell’affermare che la diffamazione commessa tramite web, rientrando nei casi di diffamazione commessa con “altri mezzi di pubblicità”, costituisce un’ipotesi di diffamazione aggravata proprio per la diffusività ed offensività dello strumento adoperato non esimendo, pertanto, l’autore delle dichiarazioni dal rispetto dei limiti dei valori fondamentali e dei criteri individuati dalla prassi giurisprudenziale in tema di operatività della scriminante del diritto di critica.

 

Argomento: Della responsabilità civile
Sezione: Sezione Semplice

(Cass. Civ., Sez. I, 16 maggio 2023, n. 13411)

stralcio a cura di Ciro Maria Ruocco

“ V. - (…) La corte d’appello, replicando la conforme valutazione del tribunale, ha ritenuto tali espressioni lesive, nell'odierno contesto sociale. (…) Ha cioè da questo punto di vista valutato motivatamente le frasi reputandole offensive al di là del limite della continenza. VI. - La valutazione non integra le violazioni che le vengono addebitate. Occorre ricordare che in tema di danni da diffamazione la ricostruzione storica dei fatti, la valutazione del contenuto degli scritti, l’apprezzamento in concreto delle espressioni usate come lesive dell’altrui reputazione e la valutazione dell’esistenza o meno dell’esimente dell’esercizio dei diritti (di cronaca e) di critica costituiscono oggetto di accertamenti in fatto, riservati al giudice di merito e insindacabili in sede di legittimità se sorretti da argomentata motivazione. Il controllo affidato alla Corte di Cassazione è in questi casi limitato alla verifica dell’avvenuto esame, da parte del giudice del merito, della sussistenza dei requisiti della continenza, della veridicità dei fatti narrati e dell’interesse pubblico alla diffusione delle notizie, oltre che naturalmente al sindacato della congruità e logicità della motivazione secondo la previsione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 ove applicabile. Va precisato che nella fattispecie in esame non solo non è dedotto alcun omesso esame di fatti, ma neppure avrebbe potuto esserlo, essendo la decisione sorretta da una doppia valutazione conforme in primo e secondo grado ( art. 348-ter c.p.c.). In definitiva resta sempre estraneo al giudizio di legittimità l’accertamento della capacità diffamatoria delle espressioni in contestazione (v. Cass. Sez. 3 n. 18631-22, Cass. Sez. 3 n. 5811-19). VII. - Contrariamente a ciò che assume il ricorrente, il legittimo esercizio del diritto di critica - anche in ambito latamente politico - sebbene consenta il ricorso a toni aspri e di disapprovazione più pungenti e incisivi rispetto a quelli comunemente adoperati nei rapporti tra privati, è pur sempre condizionato dal limite della continenza intesa come correttezza formale dell’esposizione e non eccedenza dai limiti di quanto strettamente necessario per il pubblico interesse (v. Cass. Sez. 3 n. 11767-22, Cass. Sez. 3 n. 841-15). Non possiede quindi rilievo essenziale il riferimento alla [continua ..]

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