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Non solo la proprietà: nel delitto di furto, come nella truffa, il bene giuridico tutelato è anche il possesso

Federico Maria Schettino 

La pronuncia n. 11478 del 2023 della Corte di Cassazione esamina il bene giuridico tutelato dalle norme che puniscono il furto (art. 624 c.p.) e la truffa (art. 640 c.p.). Sono entrambi reati contro il patrimonio: il primo consiste nella sottrazione a chi detiene “

… qualsiasi entità di cui sia possibile la fisica detenzione, sottrazione, impossessamento od appropriazione e che sia in grado di spostarsi autonomamente ovvero di essere trasportata da un luogo ad un altro, compresa quella che, pur non mobile originariamente, sia resa tale mediante l’avulsione o l’enuclazione dal complesso immobiliare di cui faceva parte

” (Cass. pen., Sez.II, 11/05/2010, n. 20647); il secondo, invece, nell’inganno (attraverso raggiri o artifizi) col quale una persona viene indotta a compiere un atto, positivo o negativo, che importa una diminuzione del suo patrimonio con profitto ingiusto dell’

agente o di altri.                                                                                                   In particolare, la Corte di legittimit

à ha enunciato il principio di diritto secondo cui ciò che il legislatore ha voluto tutelare con la norma non è soltanto il titolare del diritto di proprietà o di diritti reali e personali di godimento, ma anche il possessore.                                                          Ciò su cui si focalizza la pronuncia è il concetto di possesso, inteso in senso più ampio rispetto a quanto stabilito dall’art. 1140 c.c., primo comma: “

Il possesso è il potere sulla cosa che si manifesta in un'attività corrispondente all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale

”. La norma tutela anche il detentore qualificato, ossia il soggetto che ha disponibilità del bene (diritto di uso e di disposizione) a qualunque titolo (la Corte Suprema ritiene che sia tutelato anche il detentore che abbia disponibilità di un bene su di un titolo illecito o clandestino. Diretta conseguenza di quanto enunciato dalla Suprema Corte è che il detentore qualificato, fatte queste premesse, è

da considerarsi persona offesa in caso di furto e di truffa. Egli ha, per effetto, legittimazione a proporre querela.                                                                                                                                                 Il soggetto passivo, quindi, pu

ò coincidere con il titolare del diritto o essere rappresentato dal semplice “

detentore della cosa che dalla sua sfera di possesso viene fatta passare nell’altrui signoria

(Cass. n. 7598/1990).                                                                                                       Nel caso in esame l

’imputata veniva condannata dalla Corte d’Appello di Perugia per furto, insolvenza fraudolenta, fabbricazione di documento di identità falso e truffa tentata.                      La stessa si sarebbe recata presso un ristorante con l’obiettivo di commettere furti in danno dei clienti; non pagare quanto ordinato e consumato; avrebbe sottratto un libretto di deposito sottraendolo dalla borsa della persona offesa insieme alla sua Carta d’

identit

à poi contraffatta (attraverso l’apposizione della propria fotografia) e si sarebbe recata presso un centro commerciale per richiedere il prelievo della somma di denaro ivi depositata.                              Parte ricorrente proponeva ricorso per Cassazione con due motivi d’impugnazione.                           Ai fini della presente trattazione, ci si focalizzerà sul secondo con il quale la parte si doleva dell’errata interpretazione degli artt. 640 c.p. e 336 c.p.p. In particolare, riteneva che la parte offesa non avesse legittimazione a ricoprire tale ruolo in quanto priva di poteri di rappresentanza della società proprietaria del libretto di deposito sottratto essendo una “

mera impiegata

.                                                                                                                                                               La Corte di Cassazione, ritenendo infondato il motivo d

’impugnazione, argomentava,

in primis

, che la parte offesa rivestiva tale ruolo in quanto “

la consumazione del reato avrebbe determinato immediatamente la diminuzione del suo patrimonio

”. Con la presentazione della querela, congiunta a quella presentata dalla caporeparto, vi erano le condizioni di procedibilità di cui all’

art. 336 c.p.p.                                                                                                       La Suprema Corte, poi, enunciava:

...Si tratta di un'affermazione in linea con la giurisprudenza di questa Corte in materia di furto, secondo la quale, ai fini della procedibilità dei furti commessi all'interno degli esercizi commerciali, ciò che rileva è che il querelante «sia titolare di una posizione di detenzione qualificata del bene, che ne comporti l’autonomo potere di custodia, gestione ed alienazione»
(…). Giurisprudenza che si pone in termini di continuità con i principi affermati in materia dalle Sezioni Unite, che hanno evidenziato che, con l'incriminazione del reato di furto, si tutela il possesso di cose mobili e che il possesso, a tali fini, non va inteso negli stretti termini di cui all'art. 1140 cod. civ., ma in senso più ampio, comprensivo della detenzione a qualsiasi titolo, quale mera relazione di fatto qualunque sia la sua origine. Il bene giuridico protetto dal reato di furto, pertanto, è costituito non solo dal diritto di proprietà e dai diritti reali e personali di godimento, ma anche del possesso, come sopra delineato, inteso nel senso di detenzione qualificata con la cosa, con il conseguente potere di utilizzarla e di disporne, discendendone ulteriormente che persona offesa del reato è il detentore qualificato. Non è necessario, quindi, che il detentore abbia anche poteri di rappresentanza del proprietario della cosa, quasi che il diritto di querela debba in ogni caso spettare solo al proprietario o al soggetto che di questo abbia poteri di rappresentanza. In questa prospettiva, le Sezioni Unite hanno espressamente affermato che «il bene giuridico protetto dal delitto di furto è individuabile non solo nella proprietà o nei diritti reali personali o di godimento, ma anche nel possesso - inteso come relazione di fatto che non richiede la diretta fisica disponibilità - che si configura anche in assenza di un titolo giuridico e persino quando esso si costituisce in modo clandestino o illecito, con la conseguenza che anche al titolare di tale posizione di fatto spetta la qualifica di persona offesa e, di conseguenza, la legittimazione a proporre querela

”.                                         La Cassazione proseguiva ritenendo che tali argomentazioni potevano tranquillamente essere applicate al reato di truffa. Infatti, la Corte: “

il diritto di querela per il delitto di truffa spetta, indipendentemente dalla formale attribuzione del potere di rappresentanza, anche all’addetto di un esercizio commerciale che si sia personalmente occupato, trovandosi al bancone di vendita, della transazione commerciale con cui si è consumato il reato, assumendo, egli, in quel frangente la responsabilità in prima persona dell’attività del negozio e rivestendo pertanto la titolarità di fatto dell’interesse protetto dalla norma incriminatrice

.                                                                                                                                       La Corte dichiarava inammissibile il ricorso e condannava parte ricorrente al pagamento delle spese di lite.
Argomento: Dei delitti contro il patrimonio
Sezione: Sezione Semplice

Stralcio a cura di Giovanni de Bernardo 

(Cass. Pen., Sez. V, 17 marzo 2023, n. 11478/23)

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“(…) Sotto altro profilo, ha ritenuto rilevante al fine della procedibilità anche la querela presentata dalla caporeparto (omissis) in quanto titolare di una relazione di fatto con la cosa, che ne comportava un autonomo potere di custodia e gestione. Si tratta di un'affermazione in linea con la giurisprudenza di questa Corte in materia di furto, secondo la quale, ai fini della procedibilità dei furti commessi all'interno degli esercizi commerciali, ciò che rileva è che il querelante «sia titolare di una posizione di detenzione qualificata del bene, che ne comporti l’autonomo potere di custodia, gestione ed alienazione» (…). Giurisprudenza che si pone in termini di continuità con i principi affermati in materia dalle Sezioni Unite, che hanno evidenziato che, con l'incriminazione del reato di furto, si tutela il possesso di cose mobili e che il possesso, a tali fini, non va inteso negli stretti termini di cui all'art. 1140 cod. civ., ma in senso più ampio, comprensivo della detenzione a qualsiasi titolo, quale mera relazione di fatto qualunque sia la sua origine. Il bene giuridico protetto dal reato di furto, pertanto, è costituito non solo dal diritto di proprietà e dai diritti reali e personali di godimento, ma anche del possesso, come sopra delineato, inteso nel senso di detenzione qualificata con la cosa, con il conseguente potere di utilizzarla e di disporne, discendendone ulteriormente che persona offesa del reato è il detentore qualificato. Non è necessario, quindi, che il detentore abbia anche poteri di rappresentanza del proprietario della cosa, quasi che il diritto di querela debba in ogni caso spettare solo al proprietario o al soggetto che di questo abbia poteri di rappresentanza. In questa prospettiva, le Sezioni Unite hanno espressamente affermato che «il bene giuridico protetto dal delitto di furto è individuabile non solo nella proprietà o nei diritti reali personali o di godimento, ma anche nel possesso - inteso come relazione di fatto che non richiede la diretta fisica disponibilità - che si configura anche in assenza di un titolo giuridico e persino quando esso si costituisce in modo clandestino o illecito, con la conseguenza che anche al titolare di tale posizione di fatto spetta la qualifica di persona offesa e, di conseguenza, la legittimazione a proporre querela» (…). Si tratta di [continua ..]

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