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Il limite dell'interesse pubblico: diritto all'oblio

Roberto Landi

Con la pronuncia in esame, la Suprema Corte è chiamata ad esprimersi sulla fondatezza della pretesa risarcitoria di un soggetto basata sulla permanenza nel sito web di una testata giornalistica di una notizia vera, ancorché anacronistica.

Il soggetto de quo veniva implicato in un procedimento penale ed assolto; nondimeno, un quotidiano online riportava la notizia del coinvolgimento dell’uomo, senza aggiornarla con l’esito del processo. L’uomo, dunque, richiedeva la rimozione della notizia e il risarcimento del danno patito per l’impropria esposizione mediatica, protrattasi per oltre una decade. I giudici di prime cure respingevano l’istanza, dichiarando cessata la materia del contendere, giacché la testata giornalistica si era prontamente attivata, eliminando l’articolo a fronte delle rimostranze dell’interessato.

Quest’ultimo ricorreva in appello, lamentando il mancato risarcimento per il pregiudizio reputazionale cagionato dalla persistenza telematica di una notizia non aggiornata.

Il gravame, a sua volta, veniva rigettato, sulla scorta della prevalenza del diritto di cronaca, esercitato secondo i limiti tradizionalmente riconosciuti: verità, continenza espositiva, interesse pubblico ed attualità della notizia.

A fronte di una “doppia conforme” di merito sfavorevole, il soggetto ricorreva in Cassazione, deducendo, tra gli altri motivi, il venire meno dell’interesse pubblico alla conoscenza della notizia dopo un lasso di tempo così considerevole, che susseguente applicabilità del diritto all’oblio.

Gli Ermellini hanno cassato con rinvio, ritenendo fondata la pretesa risarcitoria del ricorrente: il giornale è tenuto a rispondere per la protratta diffusione della vicenda giudiziaria, quantunque veritiera e priva di carattere discriminatorio, laddove non aggiorni la notizia con l’esito assolutorio del processo; l’omessa revisione, difatti, è sufficiente ad integrare un danno alla reputazione dell’imputato, poi assolto.

L’interessato, pertanto, ha diritto, in primis, ad un aggiornamento dei dati che lo riguardano, nonché alla cancellazione dei medesimi dal web; in secondo luogo, al risarcimento del danno, ove provato, avuto riguardo al cessato interesse pubblico alla diffusione della vicenda e alla mancata adesione del titolare del sito alla diffida dell’interessato per la rimozione del contenuto.

Segnatamente, “la persistenza nel sito web di una testata giornalistica della risalente notizia del coinvolgimento di un soggetto in un procedimento penale – pubblicata nell’esercizio del diritto di cronaca, ma non aggiornata con i dati relativi all’esito di tale procedimento – non integra, di per sé, un illecito idoneo a generare una pretesa risarcitoria; tuttavia, il soggetto cui la notizia si riferisce ha diritto ad attivarsi per chiederne l’aggiornamento o la rimozione, con la conseguenza che l’ingiustificato rifiuto o ritardo da parte del titolare del sito è idoneo a comportare il risarcimento del danno patito successivamente alla richiesta (fermo l’onere di allegazione e prova del pregiudizio da parte dell’interessato)”.

Ciò premesso, la Suprema Corte non ha statuito obbligo generale per le testate giornalistiche di aggiornamento costante delle notizie e di rimozione delle medesime decorso un certo lasso temporale – invero oltremodo oneroso in concreto per le testate giornalistiche –, ma ha comunque rimarcato che l’interessato ha diritto di tutelare il proprio onore e la propria reputazione, nonché di richiedere l’aggiornamento degli articoli con gli sviluppi più recenti o con la rimozione della notizia stessa dagli archivi online.

Un mancato o ingiustamente tardivo intervento in tal senso integra una condotta illecita fondante il risarcimento del danno, da allegarsi e provarsi a cura di parte.

Di tal guisa, secondo la Cassazione, si realizza il ragionevole bilanciamento degli interessi contrapposti di editore e interessato, tra diritto di cronaca e diritto alla cancellazione.

In senso analogo si esprime, altresì, l’art. 17 del Regolamento UE 679/2016 (GDPR) sul diritto all’oblio[1], che stabilisce il diritto dell’interessato ad ottenere dal titolare del trattamento la cancellazione dei dati personali che lo riguardano e lo speculare obbligo del titolare di provvedervi “senza ingiustificato ritardo”, ove ricorrano i motivi tassativamente previsti.

Peraltro, in occasione del cd. “caso Venditti”[2], gli Ermellini avevano già affermato che il diritto all’oblio può subire una compressione a favore del diritto di cronaca solo in presenza di presupposti specifici, quali:

  • Il contributo arrecato dalla diffusione dell’immagine o della notizia a un dibattito di interesse pubblico;
  • L’interesse effettivo e attuale alla diffusione dell’immagine o della notizia (per ragioni di giustizia, polizia, tutela dei diritti e delle libertà altrui, ovvero per scopi scientifici, didattici o culturali);
  • L’elevato grado di notorietà del soggetto rappresentato, per la peculiare posizione rivestita nella vita pubblica del Paese;
  • Le modalità impiegate per ottenere e nel dare l’informazione, che deve essere veritiera, diffusa con modalità non eccedenti lo scopo informativo, nell’interesse pubblico e scevra da insinuazioni o considerazioni personali, sì da evidenziare un esclusivo interesse oggettivo alla nuova diffusione;
  • La preventiva informazione circa la pubblicazione o trasmissione della notizia o dell’immagine a distanza di tempo, in modo da consentire all’interessato il diritto di replica prima della divulgazione al pubblico[3].

 

[1] Cass. Civ., sez. I, 19 maggio 2020, n. 9147 definisce il diritto all’oblio quale diritto a non rimanere esposti, senza limiti di tempo, ad una rappresentazione non più attuale della propria persona, qualificandolo, nella sua “versione dinamica”, come il potere, attribuito al titolare del diritto, di controllare il trattamento dei dati personali ad opera di terzi responsabili.  

[2] Cass. Civ., sez. I, 20 marzo 2018, n. 6919.

[3] R. Giovagnoli, Manuale di diritto civile, Milano, 2023, pp. 41-42.

Argomento: risarcimento dei danni
Sezione: Sezione Semplice

(Cass. Civ., Sez. III, 1 marzo 2023, n. 6116)

stralcio a cura di Ida Faiella

(…) A.A. (…)  propose ricorso ex art. 700 c.p.c. nei confronti della Omissis (…) per ottenere la cancellazione dal sito web (…) di un articolo (…) ovvero la sua rettifica mediante integrazione con la notizia che il A.A. era stato successivamente assolto per non aver commesso il fatto. (…) il Tribunale di Pordenone dichiarò cessata la materia del contendere con riferimento alla richiesta di cancellazione o aggiornamento dei dati pubblicati ondine e rigettò le domande attoree di risarcimento dei danni sia in relazione alla prospettata diffamazione a mezzo stampa sia per la prolungata permanenza della notizia sul sito web. La Corte di Appello di Trieste ha rigettato il gravame proposto dal A.A. (…), affermando (…) che: non potevano considerarsi integrati gli estremi del reato di diffamazione a mezzo stampa, in quanto l'articolo rispettava i requisiti della verità della notizia, della continenza e dell’interesse pubblico alla conoscenza dei fatti; era stata correttamente dichiarata la cessazione della materia del contendere in punto di aggiornamento della notizia, in quanto, a seguito della richiesta del A.A., la testata giornalistica si era "attivata velocemente per assicurare l’eliminazione dell'articolo, oltreché per pubblicare un ulteriore articolo avente ad oggetto le sentenze assolutorie"(…) "l'articolo risalente al 2003 non ha carattere diffamatorio e, in conseguenza, di ciò nessun risarcimento del danno spetta al A.A.". (…) ricorso per cassazione (…) 1. Col primo motivo, il ricorrente denuncia "violazione dell'art. 360 c.p.c., n. 5 perché è stato totalmente omesso l'esame di (…) diffamazione (…) con il titolo a caratteri cubitali, idoneo a generare comunque dubbi sul lettore, (…) il tutto in relazione agli artt. 590 c.p. e 2043 c.c.".  1.1. Il motivo (…) è inammissibile, ai sensi dell'art. 348 ter, comma 5 c.p.c., in relazione al vizio ex art. 360 c.p.c., n. 5, atteso che, a fronte di una "doppia conforme" di merito, il ricorrente non ha dedotto -come necessario (cfr., per tutte, Cass. n. 26774/2016) che la sentenza di appello confermativa di quella di primo grado non è fondata sulle stesse ragioni inerenti alle questioni di fatto (…) 2. Col secondo motivo, il ricorrente denuncia la violazione del D.Lgs. n. 196 del 2003, artt. 2043-2049 c.c. e 7, [continua ..]

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