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Diritto alla detrazione dell'iva in un soggetto qualificabile come soggetto passivo

Antonio Borghetti

 

 

Con la presente ordinanza interlocutoria la Suprema Corte rinvia alla Corte di Giustizia l’esame della compatibilità, con il diritto unionale, della predeterminazione[1] normativa volta a stabilire i requisiti minimi di operatività in capo agli operatori per essere considerati “soggetti passivi iva” e non perdere così il diritto alla detrazione dell’iva assolta sugli acquisti. Le caratteristiche di imposta armonizzata a livello europeo incidono anche sull’interpretazione in quanto il Giudice ultimo del diritto dell’Unione Europea spesso interviene - nell’ambito di procedimenti per infrazione o di rinvio pregiudiziale - al fine di interpretare tali normative ed assicurarne l’applicazione omogenea su tutto il territorio dell’Unione[2]. La controversa disciplina delle “società di comodo”, introdotta nell’ordinamento dall’art. 30 della L. 23 dicembre 1994, n. 724 ha vissuto e vive[3] incerte fortune; il disfavore dell'ordinamento nazionale per tale incoerente impiego del modulo societario - ricavabile, oltre che dalla disciplina fiscale antielusiva, dal più generale divieto, desumibile dall'art. 2248 c.c., di  regolare la comunione dei diritti reali con le norme in materia societaria - trova spiegazione nella distonia tra l'interesse che la società di mero godimento è diretta a soddisfare e lo scopo produttivo al quale il contratto di società è preordinato. Il comma 4 della citata norma prevede, nel secondo periodo, che qualora per tre periodi di imposta consecutivi la società o l’ente non operativo non effettui operazioni rilevanti ai fini dell'imposta sul valore aggiunto non  inferiore all'importo  che  risulta  dalla applicazione delle percentuali di cui  al  comma  1,  l'eccedenza  di credito non è ulteriormente riportabile a scomputo dell'IVA a debito relativa ai periodi di imposta successivi. Il diritto alla detrazione, previsto dagli artt. 19 – 19-ter del d.P.R. settembre 1972, n. 633 in recepimento degli artt. 167 - 172 della direttiva 2006/112/CE è elemento cardine - insieme all’obbligo di rivalsa - del meccanismo IVA il cui corretto funzionamento consente il rispetto del generale (e fondamentale[4]) principio di neutralità del tributo per i “soggetti passivi”; criticabile, sia concesso, anche la scelta del legislatore in punto di collocazione della disciplina speciale prevista per la detrazione dell’Iva delle società di comodo nell’art. 30 in luogo degli, ritenuti più corretti, artt. 19 del d.P.R. settembre 1972, n. 633. Benché riferito ad altri e diversi fini, lo specifico nesso, colto dalla SC tra definizione dei “soggetti passivi” ed il rispetto del precetto di neutralità emerge anche dai consideranda nn. 7 e 13 della Direttiva. La Corte nel formulare i motivi di rinvio opera una pregevole ricognizione del corpus normativo assumendo che la falcidia prevista dall’art. 30 comma 4 non possa che trovare fondamento nell’art. 9 della direttiva 2006/112/CE che definisce i soggetti passivi del tributo; ivi è scritto che si considera «soggetto passivo» chiunque esercita, in modo indipendente e in qualsiasi luogo, un'attività economica, indipendentemente dallo scopo o dai risultati di detta attività. Ecco quindi che l’indipendenza dai risultati aziendali muove gli interrogativi della Suprema Corte circa la liceità della normativa domestica in punto di spazio, ritenuto assente, concesso al legislatore italiano nell’individuare in senso restrittivo i soggetti passivi del tributo armonizzato. L’iter logico della Corte è condividibile: per poter inibire il diritto alla detrazione, pilastro fondamentale del meccanismo Iva, occorre che il soggetto non risponda positivamente alla definizione di soggetto passivo del medesimo. Considerato però che la Direttiva non prevede limiti quantitativi minimi (o massimi) per soddisfare tale requisito - ed anzi in più occasioni la giurisprudenza della Corte di Giustizia ha sancito la detraibilità anche dell’Iva afferente alle attività preparatorie allo start-up aziendale - l’intervento domestico risulta censurato sotto plurimi profili, in primis, quello di ingenerare un disallineamento tra imposizione diretta, ove il contribuente, anche se “di comodo” rimane “soggetto passivo” ed imposizione indiretta (e segnatamente ai fini Iva) ove, al contrario, non superando il cd. test di operatività per più esercizi perderebbe il diritto alla detrazione dell’Iva. La Corte è attenta nel rilevare che: Tuttavia, il mancato superamento del test di operatività non assumerebbe rilevanza quale prova incontrovertibile del difetto della qualità di soggetto passivo dell'ente, ma solo quale fondamento della presunzione legale dell'assenza del presupposto dell'esercizio di un'attività economica che il contribuente può superare (solo) attraverso la dimostrazione dell'esistenza di situazioni oggettive, estranee alla sua volontà, che non gli hanno consentito di realizzare operazioni imponibili per un volume di affari coerente con gli asset a disposizione. Ciò in quanto al contribuente è concessa - ex art. 30 comma 4-bis della L. 23 dicembre 1994, n. 724 - la facoltà di richiedere ed ottenere la disapplicazione della disciplina delle società di comodo e dei sui conseguenti effetti ai fini delle imposte dirette ed indirette in  presenza  di  oggettive  situazioni  che   hanno   reso  impossibile  il  conseguimento  dei  ricavi,  degli   incrementi   di rimanenze e dei proventi nonché del reddito […] ovvero  non  hanno  consentito  di  effettuare  le operazioni rilevanti ai fini dell'imposta sul valore aggiunto di cui al comma 4 […]. Trattasi quindi di predeterminazione normativa relativa e non assoluta, che ammette quindi (documentata) prova contraria da rappresentare nella forma dell’interpello ex art. 11,  comma  1,  lettera  b) della legge 27 luglio 2000, n. 212. Questo tentativo di bilanciamento, introdotto successivamente alla novella del 1994, appare tuttavia un rimedio parziale[5] posta la limitazione alla tipologia di fonti di prova ed anche al riferimento all’oggetto della prova, non definito. Tale possibilità è però dirimente nel chiarire che il parametro forfettario individuato dal legislatore per l’individuazione dei requisiti di vitalità dell’impresa non è insindacabile ed insuperabile: è un parametro, un filtro, un meccanismo di selezione per agevolare l’azione amministrativa ed orientare i comportamenti dei contribuenti. Va da sé quindi che se queste sono le caratteristiche della norma, questa non potrà ragionevolmente porsi l’obiettivo di falcidiare il fondante diritto di detrazione per come impostato dalla direttiva UE.

La Corte, nelle questioni pregiudiziali, altresì non tralascia un aspetto pregnante: il principio della certezza del diritto, […] il cui corollario è il principio della tutela del legittimo affidamento. Infatti, avuto riguardo alla situazione di incertezza in cui si viene a trovare il soggetto passivo al momento dell'effettuazione di un'operazione imponibile, in relazione alla idoneità della stessa a determinare l'insorgenza del diritto alla detrazione o al rimborso della relativa IVA non può non evidenziarsi come questo diritto venga sottoposto alla duplice condizione (1) del raggiungimento di predeterminati livelli di ricavi (2) nei tre esercizi successivi consecutivi.

Ancora, la Corte richiama l’attenzione sul generale (ed extratributario) principio unionale della proporzionalità ex art. 5 del trattato UE: sotto altro aspetto, conformemente al principio di proporzionalità, le misure adottate dagli Stati membri non possono eccedere quanto necessario per raggiungere tale obiettivo e, in particolare, non possono essere utilizzate in modo tale da rimettere sistematicamente in questione il principio della neutralità dell'IVA. Nondimeno, la lotta contro frodi, evasione fiscale ed eventuali abusi costituisce un obiettivo riconosciuto e incoraggiato dalla direttiva IVA […]; Sotto altro aspetto, conformemente al principio di proporzionalità, le misure adottate dagli Stati membri non possono eccedere quanto necessario per raggiungere tale obiettivo e, in particolare, non  possono essere utilizzate in modo tale da rimettere sistematicamente in questione il principio della neutralità dell'IVA.

La Suprema corte, in esito alla pregevole e motivata ordinanza, in chiusura sottopone alla Corte di Giustizia tre questioni pregiudiziali: (1) la verifica del rispetto, ad opera del comma 4 dell’art. 30 della norma sulle società di comodo dell’art. 9 della Direttiva IVA (2) (in caso di esito negativo al primo quesito) il rispetto del principio di neutralità e del parametro di proporzionalità di tale normativa (3) (in caso di esito negativo al secondo quesito) il rispetto dei principi di certezza del diritto e tutela dell’affidamento.

 

[1] TOSI L., Le predeterminazioni normative nell’imposizione reddituale, Giuffrè editore, 1999 Milano, p. 354 e ss.

[2] PISTONE P., Diritto tributario internazionale, 2021, II edizione, Giappichelli, Torino, p. 162.

[3] Vedasi le recenti C.Giust. UE 6 ottobre 2022 C-433/21e C-434/21.

[4] DE’ CAPITANI DI VIMERCATE P., Diritto tributario internazionale, (coautori Uckmar V., Corasaniti G., De’ Capitani di Vimercate P., Corrado Oliva C.), II edizione, 2012, Cedam, Padova, p. 158.

[5] TOSI, op. cit., p. 365.

Argomento: Diritto tributario
Sezione: Sezione Semplice

(Cass. Civ., Sez. V, 19 maggio 2022, n. 16091)

stralcio a cura di Francesco Taurisano 

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  (…) 26. Secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia, la nozione di «soggetto passivo» va individuata in relazione a quella di «attività economica» (...), come comprendente ogni attività di produzione, di commercializzazione o di prestazione di servizi; tale disposizione precisa, inoltre, che si considera attività di questo tipo, in particolare, «lo sfruttamento di un bene materiale o immateriale per ricavarne introiti aventi carattere di stabilità» (...) 27. Per quanto riguarda la nozione di «sfruttamento», tale nozione si riferisce a qualsiasi operazione, indipendentemente dalla sua forma giuridica, intesa a ricavare dal bene di cui trattasi introiti aventi carattere di stabilità (...) esulando conseguentemente dalla stessa il mero acquisto e la mera vendita di un bene, dal momento che l'unico reddito risultante da tali operazioni è costituito dall'eventuale profitto all'atto della vendita del bene stesso (...), così come il mero esercizio del diritto di proprietà da parte del suo titolare ovvero la mera detenzione di partecipazioni sociali (...). 28. E' stato, in proposito, affermato che al fine di stabilire se un'attività costituisca un'attività economica (...)  il numero e la portata delle vendite non possono costituire un criterio di distinzione tra le attività di un operatore che agisce a titolo privato, che non rientrano nell'ambito di applicazione di tale direttiva, e quelle di un operatore le cui operazioni costituiscono un'attività economica (...). 30. Orbene, questa Corte si interroga sul se la qualità di soggetto passivo e, conseguentemente, il diritto di detrazione dell'i.v.a. di rivalsa assolta possono essere negati laddove il soggetto esegua operazioni attive rilevanti ai fini dell'i.v.a. in misura ritenuta non coerente - in quanto eccessivamente bassa - rispetto a quanto può ragionevolmente attendersi dagli asset patrimoniali di cui dispone per tre anni consecutivi e senza dimostrare, a giustificazione di tale circostanza, l'esistenza di oggettive situazioni ostative. (...) 31. Le disposizioni nazionali, laddove interpretate (...) nel senso che il mancato superamento del test di operatività priva l'ente della qualità di soggetto passivo, in ragione del (presunto) mancato esercizio di un'attività economica, si risolverebbero nell'attribuire rilevanza [continua ..]

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