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Responsabilità degli enti: ribadito il rispetto del doppio principio di legalità con riferimento al reato ambientale di cui all´art. 256 c. 1 lett. b) del D.lgs. 152/2006

Andrea Castaldo

 

La pronuncia oggetto di analisi è di particolare rilevanza ed interesse in quanto, non solo tratta del D. Lgs. n. 231 del 2001 – atto dispositivo che ha radicalmente cambiato, almeno concettualmente, l’approccio alla responsabilità giuridica degli enti nel sistema ordinamentale italiano – ma definisce e chiarisce anche nello specifico il concetto di “rifiuti” così come previsto a livello sovranazionale, così che gli idrocarburi sversati accidentalmente e inquinanti terreno e acque sono rifiuti ai sensi del D. Lgs. n. 152/2006 e il loro abbandono incontrollato costituisce reato.

L’analisi si concentrerà sul primo profilo, tenendo conto della ripartizione delle responsabilità e chiarendo taluni concetti della disciplina penale ambientale.

Infatti, nel caso di specie, la società Raffineria di Gela S.P.A. è stata condannata in primo e in secondo grado per il reato ambientale sancito dall’art. 256, co. 1, del D. Lgs. 152/2006 (cd. Testo Unico Ambientale) per cui «chiunque effettua una attività di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti in mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione o comunicazione» è condannato alla pena dell’arresto e dell’ammenda, con diversi limiti edittali a seconda che si tratti o meno di rifiuti pericolosi nonché art. 6, lett. a) e lett. d) n. 2 del D. L. 172/2008 (Disciplina sanzionatoria - Misure straordinarie per fronteggiare l’emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti nella regione Campania, nonché misure urgenti di tutela ambientale).

Ricordo che nel nostro ordinamento tradizionalmente ha avuto ampio spazio il principio, di origine romanistica, societas delinquere non potest, superato solo con il D. Lgs. 231/2001, che ha introdotto e disciplinato la responsabilità da reato della persona giuridica. Non è questa la sede per discorrere sulla natura di tale responsabilità: amministrativa, penale o anche un tertium genus.

Giova solo rammentare che la responsabilità introdotta con il D.lgs. 231/2001, prevede che un ente, incluse le società di persone e di capitali, è responsabile per i reati-presupposto elencati nel decreto, negli artt. 24 e seguenti, «commessi nel suo interesse o vantaggio, da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, amministrazione, direzione o controllo, anche di fatto, dell’ente, o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale, oppure da soggetti loro dipendenti».

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 2234/2022, ha sapientemente esplicato e chiarito uno dei principi su cui si fonda il D. Lgs. 231/2001, cioè: il principio di legalità in materia penale, cardine fondamentale negli ordinamenti giuridici democratici.

Si prevede, infatti, nell’art. 2 del decreto come «l’ente non può essere ritenuto responsabile per un fatto costituente reato se la sua responsabilità amministrativa in relazione a quel reato e le relative sanzioni non sono espressamente previste da una legge entrata in vigore prima della commissione del fatto».

Viene dunque ripreso il principio costituzionale dell’art. 25, co. 2, Cost. in forza del quale «nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso».

Quindi, l’accertamento della responsabilità delle persone giuridiche prevede un doppio livello di legalità. Nello specifico, l’ente è responsabile solo se il fatto commesso dalla persona fisica è stato inserito nel catalogo tassonomico dei reati-presupposto prima della commissione del fatto medesimo.

Così si è espressa la Corte di Cassazione con la recente sentenza n. 2234, in riferimento alla vicenda che vedeva una società accusata di aver commesso un reato ambientale non previsto tra le fattispecie penali indicate nel Decreto 231.

La società, nonché i soci e amministratori, erano stati accusati e condannati, per inquinamento del suolo e sottosuolo cagionato da reiterate perdite di idrocarburi provenienti dall’attività di lavorazione industriale del petrolio.

Alla raffineria veniva contestato, nel capo n. 4 connesso al capo n. 3 della sentenza impugnata, l’illecito di cui all’art. 25 undecies (Reati ambientali), co. 2 lett. b) n. 2 e lett. c) n. 2 del D. Lgs. n. 231/2001, in relazione ai fatti contestati alle persone fisiche in materia di smaltimento e abbandono di rifiuti pericolosi, richiamando il contenuto del reato di smaltimento e abbandono abusivo di rifiuti pericolosi di cui all’art. 256 T.U.A.; ma quest’ultimo articolo, a sua volta, è richiamato da una disciplina emergenziale ex art. 6, lett. a) e lett. d) n. 2, D. L. n. 172 del 2008 (convertito in L. n. 210 del 2008) nel più ampio contesto delle misure straordinarie per fronteggiare l’emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti nella regione Campania e per una più efficace tutela ambientale.

La Corte d’Appello ha infatti condannato al capo n. 4 l’ente in riferimento al capo n. 3 così formulato “reato di cui agli artt. 110 c.p. e art. 256, co. 1, lett. b) e co. 2 del d.lvo n. 152 del 2006, quest’ultimo in relazione alla lett. a) ed alla lett. d) n. 2 dell'art. 6 della legge del 30.12.2008, n. 210”.

Così facendo ha previsto tale disposizione come il principale capo d’imputazione della responsabilità della raffineria, errando, poiché nel 2011, quando si è introdotto l’art. 25 undecies il legislatore non ha ricompreso i reati ambientali dell’art. 6 L. n. 210 del 2008 nel novero dei reati-presupposto per cui è possibile affermare la responsabilità delle persone giuridiche. Qui si crea il corto circuito e da qui discende l’assoluzione per l’ente.

Infatti, non si può assolutamente condannare l’ente raffineria, perché manca uno degli elementi fondamentali della responsabilità giuridica sancita nel 2001, il reato contestato all’ente non è incluso tra i reati presupposto del D. Lgs. 231/2001. L’art. 25 undecies, infatti, richiama solo il reato di cui all’art. 256 T.U.A non anche l’art. 6 della L. n. 210/2008: la raffineria deve andare esente da responsabilità, per una corretta applicazione dei principi di legalità e di tassatività.

I giudici di legittimità, annullando il provvedimento di condanna della Corte d’Appello perché il fatto non costituiva illecito ex 231, hanno chiarito che la responsabilità amministrativa dell’ente può conseguire solo alla commissione dei reati-presupposto tassativamente catalogati nel decreto stesso, nel rispetto del principio di legalità.

È un cd. sistema chiuso a rinvio fisso, così facendo il legislatore, nel tempo, decide se o meno ampliare suddetto catalogo degli illeciti sulla base di una continua analisi e ponderazione di diritti ed interessi. Tant’è che la Cassazione afferma in sentenza come «il sistema italiano, a differenza di altri ordinamenti giuridici, non prevede una estensione della responsabilità da reato alle persone giuridiche di carattere generale, coincidente cioè con l’intero ambito delle incriminazioni vigenti per le persone fisiche ma limita detta responsabilità soltanto alle fattispecie penali tassativamente indicate nel decreto stesso».

Il legislatore ha peccato nella corretta coordinazione e connessione tra le discipline previste nell’art. 25 undecies D. Lgs. 231 del 2001, art. 256 T.U.A., art. 6 D. L. n. 172 del 2008 nonché la Corte d’Appello incautamente ha considerato la raffineria responsabile per il reato dell’art. 6 suddetto frutto di disciplina emergenziale e non soltanto per quanto previsto nella disciplina del T.U.A.

Questo il principio di diritto ricavabile dalla pronuncia: «La responsabilità amministrativa dell’ente derivante da reati ambientali non è configurabile in relazione al delitto di gestione dei rifiuti nei territori nazionali dichiarati in stato di emergenza, di cui all'art. 6, lett. a) e d), n. 2, d.l. 6 novembre 2008, n. 172, convertivo con modificazioni nella legge 30 dicembre 2008, n. 210, non essendo tale disposizione inclusa nell'elenco dei reati-presupposto della responsabilità amministrativa di cui all'art. 25-undecies, comma 2, d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231».

In conclusione, «non potendo il reato previsto dalla disciplina emergenziale legittimare l’affermazione della responsabilità della raffineria di Gela, la sentenza impugnata, sul punto, va annullata senza rinvio perché il fatto non costituisce illecito amministrativo».

Argomento: Responsabilità ente da reato (d.lgs. 231/2001)
Sezione:

(Cass. Pen., Sez. III, 20 gennaio 2022, n. 2234)

Stralcio a cura di Ilaria Romano

“10. In relazione al ricorso proposto nell'interesse della (...), la verifica della sua fondatezza del impone, preliminarmente, una valutazione di correttezza circa l'interpretazione fornita dalla Corte territoriale alla contestazione di cui al capo 4) d'imputazione. La Corte ha respinto il motivo d'impugnazione della società affermando che "la pronuncia di responsabilità è stata emessa per il reato di cui all'articolo 256 Testo Unico ambiente, norma richiamata per relationem nel capo d'imputazione". La motivazione è censurabile per più ragioni. La Corte territoriale, non ha tenuto conto del tenore del rinvio contenuto nel capo 4) che evoca chiaramente in maniera omnicomprensiva il capo 3) in cui ben si chiarisce, giova ricordarlo, che l'articolo 256, comma 1, lettera b), e comma 2, del D.lgs. n. 152 del 2006, viene contestato in relazione all'articolo 6, lettera a) ed alla lettera d) n. 2, del D.l. 6/11/2008, n. 172, convertito con modificazioni dalla L. 30/12/2008, n. 210. La motivazione si palesa altresì contraddittoria con quanto già affermato dal Collegio di merito a pag. 39, ove, nel disattendere i motivi di ricorso proposti in relazione al capo 3) d'imputazione, si è soffermato ampiamente sulla ratio e sulla genesi del delitto di cui all'articolo 6 della L. n. 210 del 2008, evidentemente ritenendo tale disposizione il fulcro del capo d'imputazione. Quanto affermato in ordine al motivo di ricorso relativo al capo di cui al n. 4), infine, contrasta con la circostanza che per il già citato capo 3) i giudici di merito di seconde cure hanno confermato la pena della reclusione irrogata in primo grado. Accolta la prospettazione difensiva secondo la quale il reato contestato alla persona giuridica è il delitto di cui all'articolo 6, lettera a) e d) n. 2 del D.l. 6/11/2008, n. 172, convertito con modificazioni dalla L. 30/12/2008, n. 21, il ricorso è pertanto da ritenersi fondato. Come noto, il D.lgs. n. 231 del 2001, inserito nell'ordinamento italiano in forza di fonti normative internazionali e comunitarie, disciplina la responsabilità amministrativa degli enti collettivi per i fatti costituenti reato. Questo modello di responsabilità, originariamente previsto con riguardo ad un ristretto novero di reati presupposti, è stato poi progressivamente esteso, con l'inserimento dell'articolo 25 undecies, da parte del D.lgs. 7 luglio 2011, n. 121, e con [continua ..]

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