home / Archivio / Diritto Civile raccolta del 2021 / La cessione del credito da parte di una società privata qualificabile come organismo di ..

indietro stampa contenuto leggi libro


La cessione del credito da parte di una società privata qualificabile come organismo di diritto pubblico

Alessandro Marchetti Guasparini

 

 

La vicenda in esame trae origine da un giudizio di opposizione ad un decreto ingiuntivo, con il quale era stato ingiunto alla P.C.M. di pagare una somma di denaro (a titolo di corrispettivo per il servizio di smaltimento di rifiuti) ad una società privata, la quale risultava cessionaria di alcuni crediti acquistati da una società a totale partecipazione pubblica (e perciò qualificabile quale organismo di diritto pubblico).

La Suprema Corte è stata perciò chiamata a pronunciarsi sulla validità ed efficacia di due atti di cessione di credito e, in particolare, di un atto di cessione pro solvendo perfezionatosi mediante scambio di corrispondenza e di un atto di cessione pro soluto perfezionatosi con atto notarile, ma senza lo svolgimento di una procedura ad evidenza pubblica per scelta del contraente-cessionario ai sensi del d.lgs. 163/2006 (c.d. “Codice dei Contratti Pubblici”).

Il primo atto di cessione di crediti, avvenuto nel 2003 (e al quale non può essere applicata, ratione temporis, la disciplina del d.lgs. 163/2006), si era perfezionato mediante scambio di corrispondenza e, quindi, in difetto dei requisiti formali prescritti dall’art. 69 R.D. 2440/1923 (il quale richiede che le cessioni relative a somme dovute dallo Stato risultino da atto pubblico o da scrittura privata autenticata). La Suprema Corte, sul punto, richiamando la propria giurisprudenza, ha precisato che la forma imposta dalla suddetta norma non costituisce un presupposto di validità tout court dell’atto di cessione, bensì di mera opponibilità del negozio verso la Pubblica Amministrazione, con la conseguenza che “ove una tale cessione sia realizzata in forme diverse, essa è valida nei rapporti tra cedente e cessionario, trattandosi di atto avente natura consensuale, ma è inefficace (e quindi inopponibile) nei confronti della P.A. medesima”. Per tale ragione, può essere considerato liberatorio il pagamento effettuato, in buona fede, dalla Pubblica Amministrazione al cedente anziché al cessionario.

Il secondo atto di cessione di crediti, perfezionatosi nel 2007, era stato concluso in assenza di una procedura ad evidenza pubblica per la scelta del contraente-cessionario ed era stato perciò ritenuto nullo per violazione di norma imperativa. In particolare, era stata contestata la violazione dell’art. 20, comma 2, d.lgs. 163/2006, il quale assoggetta alle norme del Codice dei Contratti Pubblici (comprese quelle in tema di procedura ad evidenza pubblica) tutti i contratti di appalti di servizi disciplinati nell’elenco di cui all’Allegato 2 A), all’interno del quale è presente la prestazione di “servizi finanziari”. Sul punto, la Corte ha affermato che “è arduo sostenere che una singola cessione onerosa, non inserita in un'attività di servizio più ampia a beneficio dell'organismo di diritto pubblico, possa rientrare tra i «servizi bancari e finanziari» cui fa riferimento l'Allegato II A)”. A fondamento di tale statuizione, la Corte di Cassazione ha affermato, in primo luogo, che l’appalto di servizi (all’interno dei quali rientrano i servizi finanziari di cui all’Allegato 2 A) è di regola un contratto ad esecuzione continuata e perciò non configurabile rispetto ad un singolo atto di cessione del credito; in secondo luogo, che la nozione di “servizi finanziari”, per quanto ampia, non può ricomprendere il singolo atto di cessione di crediti, non trovando tale affermazione specifici riscontri né all’interno del d.lgs. 58/1998 (Testo Unico della Finanza), né della giurisprudenza amministrativa. Al contrario, la Direttiva, 2004/18/CE, in tema di appalti pubblici di lavori, servizi e forniture, stabilisce, al Considerando XXVII, che “i servizi finanziari soggetti alla presente direttiva non comprendono [...] le operazioni di approvvigionamento di denaro o capitale delle amministrazioni aggiudicatrici”.

Peraltro, la Corte ha qualificato la cessione del credito come “contratto attivo”, cioè un contratto che genera un’entrata per la Pubblica Amministrazione e che perciò non è soggetto alla disciplina dell’evidenza pubblica, né ai principi a tutela della concorrenza di derivazione comunitaria; infatti, l’estensione dell’applicazione delle norme relative all’evidenza pubblica anche ai contratti attivi “è stata prevista dalla normativa sopravvenuta di cui al d.lgs. n. 50 del 18 aprile 2016 (…) che, nella specie, è inapplicabile ratione temporis”.

La Corte si è inoltre soffermata sulla circostanza che la cessione del credito non rientri neppure tra i contratti esclusi dall’applicazione del Codice dei Contratti Pubblici: la Corte d’Appello aveva infatti rilevato che i servizi finanziari sono esclusi dall’applicazione del Codice, ai sensi dell’art. 19, lett. d), d.lgs. 163/2006, solo se relativi “all'emissione, all'acquisto, alla vendita e al trasferimento di titoli  o  di  altri strumenti   finanziari” (tra i quali non rientra, perciò, la cessione di un singolo credito). Tuttavia, dall’assenza di una specifica menzione della cessione del credito tra i contratti esclusi dall’applicazione del Codice dei Contratti Pubblici, secondo la Corte, non può derivare un’automatica soggezione del tipo contrattuale alla disciplina codicistica: la Cassazione ha infatti affermato che “erra dunque la Corte territoriale ad affermare che, non essendo i «servizi bancari e finanziari» ricompresi tra i contratti «esclusi» di cui alla norma speciale (art. 19 del codice del 2006), essi sarebbero in via consequenziale assoggettati al codice interamente o in via ordinaria”.

Infine, quale decisivo argomento, la Corte ha sostenuto che la mancata osservanza della procedura ad evidenza pubblica è causa di nullità del contratto solo nei “casi in cui l'evidenza pubblica sia specificamente prevista dalla legge nelle singole fattispecie”, aggiungendo peraltro che “per attrarre i negozi di cessione del credito nell'orbita del codice degli appalti non sembra sufficiente evocare ragioni finalistiche o di connessione con il contratto di base (che è un appalto di servizi)”.

La Corte ha concluso enunciando il seguente principio di diritto: “ai fini della validità della cessione del credito da parte di una società privata, qualificabile come organismo di diritto pubblico, per il corrispettivo dell'esecuzione di un appalto di servizi, non è richiesto da norme imperative, dunque a pena di nullità, che la selezione del contraente (cessionario) avvenga mediante procedimento di evidenza pubblica, non rientrando la predetta cessione né tra i «servizi bancari e finanziari» di cui all'Allegato II A), richiamato dagli artt. 20, comma 2, e 3, comma 10, del codice degli appalti del 2006 né tra i «servizi esclusi» cui si applicano i principi proconcorrenziali derivanti dai trattati europei, ai sensi dell'art. 27 del medesimo codice (applicabile ratione temporis); inoltre, la cessione di credito è un contratto «attivo» al quale i suddetti principi sono stati estesi da normativa entrata in vigore solo successivamente (art. 4 del codice del 2016, come modificato dall'art. 5, comma l, d.lgs. 19 aprile 2017, n. 56)”.

Argomento: Delle obbligazioni
Sezione: Sezione Semplice

(Cass. Civ., Sez. I, 02 marzo 2021, n. 5664)

stralcio a cura di Fabrizia Rumma

"(...) 4.3.5.- L'orientamento seguito nella giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 11446 del 2017 e sez. un. 5446 del 2012), secondo cui la mancata osservanza della evidenza pubblica nella selezione del contraente è causa di nullità del contratto per violazione di norma imperativa, riguarda i casi in cui l'evidenza pubblica sia specificamente prevista dalla legge nelle singole fattispecie (come, ad esempio, in quelle indicate nel D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, artt. 116 e 120, in tema di scelta del socio nelle società partecipate e, artt. 201 e 210, in tema di assunzione di mutui per il finanziamento di opere pubbliche; nel D.L. 25 settembre 2001, n. 351, conv. in L. 23 novembre 2001, n. 410, art. 3 bis, comma 4, in tema di concessioni e locazioni di immobili per scopi di riqualificazione e riconversione), tanto più in presenza di segnali normativi volti a rivitalizzare il metodo negoziale nella stipulazione dei contratti pubblici (cfR. D.L. 16 luglio 2020, n. 76, conv. con L. 11 settembre 2020, n. 120, art. 1, comma 2). Per attrarre i negozi di cessione del credito nell'orbita del codice degli appalti non sembra sufficiente evocare ragioni finalistiche o di connessione con il contratto di base (che è un appalto di servizi), venendo in rilievo, a tal fine, una scelta riservata al legislatore, al quale spetterebbe di delineare anche i contorni e i limiti di una simile estensione applicativa. 4.3.6.- Peraltro, la previsione dell'evidenza pubblica nella selezione del contraente con una pubblica amministrazione o un soggetto equiparato in tanto può integrare una norma imperativa la cui violazione sia causa di nullità del contratto stipulato in assenza, in quanto si tratti di una regola di "validità" dell'atto negoziale. E se ciò può dirsi con riferimento alle cosiddette procedure aperte o ristrette con previa pubblicazione di bando (cosiddetta procedura di evidenza pubblica in senso proprio), è arduo sostenerlo (oltre che nei casi in cui la scelta di seguire l'evidenza pubblica sia oggetto di un'autonoma decisione discrezionale dell'ente) rispetto a regole che, seppure talora definite di evidenza pubblica in termini "minimali", consistono in realtà in "regole di comportamento" dell'agire della pubblica amministrazione, la cui violazione non è causa di invalidità del negozio (cfr., in altra materia ma [continua ..]

» Per l'intero contenuto effettuare il login inizio