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Costituisce elemento dell'attivo patrimoniale il credito della società verso i soci che abbiano indebitamente percepito somme di denaro a titolo di utili non effettivamente conseguiti.

Nicola D'Onofrio

 

 

La pronuncia in esame muove da una domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo proposta dalla Società ricorrente, ai sensi della L. Fall., art. 161, comma 6, e dichiarata inammissibile dal Tribunale di Pescara per la mancanza dei requisiti di cui all’art. 1 del R.D. n. 267/1942 e, nella specie, poiché la voce “deficit patrimoniale” non potrebbe qualificarsi come “effettiva attività considerabile quale elemento dell'attivo patrimoniale ai fini del superamento della soglia di cui alla L. Fall.art. 1, comma 2.”

La Società, quindi, insorge dinanzi la Corte di Cassazione ma il ricorso viene preliminarmente dichiarato inammissibile in virtù di un principio già espresso dalla Cass. civ., Sez. Unite, Sent., 28/12/2016, n. 27073, secondo cui: “Il decreto con cui il Tribunale dichiara l’inammissibilità della proposta di concordato preventivo, senza emettere consequenziale sentenza dichiarativa di fallimento del debitore, non è soggetto a ricorso per Cassazione ex art. 111 Cost., comma 7,  non avendo carattere decisorio. Invero, tale decreto, non decidendo nel contraddittorio tra le parti su diritti soggettivi, non è idoneo al giudicato.”

La Suprema Corte, però, ritenendo la questione di particolare importanza, nonostante la pronuncia di inammissibilità del ricorso, ritiene di dover soffermarsi sul caso concreto ed enunciare principi di diritto nell'interesse della legge in virtù dei poteri attribuiti dall'art. 363 c.p.c., comma 3.

In particolare, il Collegio chiarisce il concetto di “deficit patrimoniale” e se questo sia rubricabile quale posta meramente contabile ovvero effettiva. Una problematica non di lana caprina, atteso che non risultano reperibili e massimizzati, in proposito, precedenti interventi da parte del Collegio.

Ciò detto, la definizione di “deficit patrimoniale”, nella pratica, ha una evidente importanza, in quanto voce di bilancio idonea ad integrare l’attivo patrimoniale: quest’ultimo, ex art. 1, c.2 Legge Fallimentare, rappresenta un requisito oggettivo nella valutazione di sussistenza dei presupposti di fallibilità / sottoposizione a concordato preventivo di un imprenditore.

Il Consesso Nomofilattico si concentra sui “prelievi” che i soci effettuano dalle casse sociali.

Non è infrequente, infatti, nella prassi, rubricare tali condotte come “percezioni di utili”, purchè avvengano previo consenso di tutti i soci. In tal senso la Corte, con la pronuncia n. 10786 del 9 luglio 2003, aveva rilevato che “quanto alla possibilità, in una società in nome collettivo, di imputare dei pagamenti a utili sociali di competenza del periodo in corso, ancor prima del rendiconto, essa è consentita dall’art. 2262 c.c. Questa norma, infatti, nel subordinare la distribuzione degli utili all’approvazione del rendiconto, ammette espressamente il patto contrario“.

La successiva evoluzione della giurisprudenza della Corte ha superato tale orientamento, rilevando che “nelle società di persone il diritto del singolo socio a percepire gli utili è subordinato, ai sensi dell’art. 2262 c.c., all’approvazione del rendiconto, situazione contabile che equivale, quanto ai criteri di valutazione, a quella

di un bilancio(…).” Ancora, “ non può farsi luogo a ripartizione di somme fra soci se non per utili realmente conseguiti“.

Ai sensi del medesimo articolo il “salvo patto contrario” limita, e non espande, il diritto del socio all’utile, il quale potrebbe essere condizionato e soggetto al consenso della maggioranza degli stessi.

Fermo quanto sopra, nel sistema attuale, gli utili di periodo si formano in relazione ai singoli esercizi sociali.

Dal momento che le società di persone (caratterizzate da un principio di responsabilità patrimoniale illimitata e solidale del socio ex art. 2267 e 2291 c.c.) non conoscono la possibilità di distribuire acconti sui dividendi, a differenza delle società per azioni, la distribuzione di utili non effettivamente conseguiti configura una ipotesi di indebito oggettivo ex art. 2033 c.c. Questo in virtù del combinato disposto dell’art. 2433 c.c., comma 4 e art. 2433 bis c.c., comma 7.

Pertanto, sorge il diritto della società di ripetere le somme nei confronti del socio che le ha, illegittimamente, fatte proprie.

Ne consegue da tanto che la voce di bilancio “deficit patrimoniale” rappresenta per la Cassazione una posta effettiva e come tale, idonea a formare l’attivo patrimoniale in relazione al disposto della L. Fall., art.1 comma 2.

Il Supremo Collegio è giunto cosi ad enunciare il seguente principio, per cui Posto che le obbligazioni sociali costituiscono debiti che stanno in capo alla società, pur nel caso delle società di persone, non concorre a formare l’ “attivo patrimoniale”, che viene preso in considerazione dalla norma della L. Fall., art. 1, comma 2, lett. a, il fatto che i soci illimitatamente responsabili siano tenuti, quali garanti ex lege, a rispondere degli stessi. Concorrono invece a formare l’attivo patrimoniale i prelievi di somme dalle casse sociale da parte dei soci, che non trovino la loro esatta giustificazione in utili effettivamente conseguiti, dato che le somme così percepite sono soggette ad azione di ripetizione di indebito da parte della società”.

 

Argomento: Diritto societario
Sezione: Sezione Semplice

(Cass. Civ., Sez. I, 20 gennaio 2021, n. 979)

stralcio a cura di Fabrizia Rumma

"(...) 11.- Per prima va esaminata l'ipotesi dei crediti della società sorti nei confronti dei soci "in virtù dell'erosione del capitale sociale", secondo la formula che è stata congegnata dal ricorrente. La locuzione rimanda in via diretta all'idea che - nelle società di persone - debitore finale delle obbligazioni assunte dalla società sia non già quest'ultima, bensì le persone dei soci illimitatamente responsabili. Questa tesi, tuttavia, non corrisponde all'orientamento che la giurisprudenza di questa Corte è venuta a sviluppare nella relativa materia. L'orientamento di questa Corte si sostanzia, infatti, nel rilevare che la società costituisce un "distinto centro di interessi e imputazione di situazioni", "dotato di una propria autonomia e capacità rispetto ai soci"; che la responsabilità verso terzi dei soci, che è sancita dagli artt. 2304 e 2291 c.c., si atteggia come una forma di "garanza fissata ex lege"; che il socio, che ha provveduto a pagare il debito sociale, ha azione di regresso nei confronti della società (cfr. Cass., 16 marzo 2018, n. 6650; Cass., 22 marzo 2018, n. 7139; Cass., 26 febbraio 2014, n. 4528; Cass., 12 dicembre 2007, n. 26012). La tesi così sviluppata trova, d'altro canto, conforto espresso nel tenore della norma generale dell'art. 2266 c.c., che è precisa nell'indicare che "la società... assume obbligazioni a mezzo dei soci" (per completezza, è pure da precisare che la responsabilità dei soci, che si trova regolata nella norma dell'art. 2280 c.c., comma 2 viene ad atteggiarsi come sopportazione e distribuzione del rischio dell'insolvenza della società debitrice nel cui esclusivo interesse risulta posta l'obbligazione, sulla falsariga della disposizione generale dell'art. 1299 c.c., comma 3). 12.- Al complesso di queste osservazioni segue, naturalmente, che rispetto al profilo qui in discorso - la posta di bilancio "deficit patrimoniale" assume riferimento e valore meramente contabili, dato che la società in nome collettivo non vanta crediti nei confronti dei soci in punto di obbligazioni sociali.(...) 16.- Nel sistema in oggi vigente, gli utili di periodo si formano in relazione all'esito dei singoli esercizi sociali, secondo quanto dispone la norma generale dell'art. 2217 c.c. Le società di persone non conoscono, d'altra parte, la [continua ..]

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